top of page

I pilastri della comunicazione efficace in azienda

Aggiornamento: 3 giorni fa

Stanco di incomprensioni e tensioni in ufficio? 

Quali sono le tecniche di comunicazione efficace in azienda per ridurre i conflitti e costruire un team basato sulla fiducia e sul benessere? 


Stop. 

Pausa. 

Sto per descrivere una, tra le tante, scene che possono accadere in azienda.  

Un’e-mail letta troppo in fretta, un tono che viene frainteso, una frase che involontariamente colpisce un nervo scoperto. 

In pochi istanti, un’innocua conversazione di lavoro si trasforma in un campo minato. 

Un muro invisibile si alza tra i colleghi, tra i manager e i collaboratori, trasformandosi in un qui pro quo da risolvere nel più breve tempo possibile.  

Quante volte è capitato?

Tante, forse troppe. 


Spesso pensiamo che la comunicazione sia semplicemente uno scambio di informazioni, ma sottovalutiamo l’importante ruolo che ha nella costruzione delle relazioni. 


Ogni parola che scegliamo, ogni silenzio che teniamo, ogni domanda che poniamo è un mattone. 

E con questi mattoni, ogni giorno, costruiamo qualcosa. A volte ponti solidi, che ci permettono di raggiungere l’altro, di capirci, di creare insieme. Altre volte, senza nemmeno accorgercene, costruiamo muri altissimi, fatti di incomprensioni, risentimento e distanza.

La buona notizia è che possiamo imparare a scegliere i materiali giusti e a usarli con intenzione. 

In questo articolo, presenterò i tre pilastri fondamentali su cui si regge ogni ponte relazionale. 

Si tratta di tre principi pratici per trasformare la comunicazione sul lavoro e iniziare a costruire connessioni più forti, autentiche e produttive. 


Pilastro 1: l’ascolto attivo

Ascoltare per capire, non per rispondere

In ogni interazione professionale, la comunicazione efficace non inizia con il parlare, ma con la qualità del silenzio che precede la risposta. Può sembrare un paradosso, specialmente in ambienti dove la capacità di argomentare e persuadere è molto apprezzata. Spesso cadiamo in una trappola quasi inconscia: ascoltiamo non con l’autentico intento di comprendere la prospettiva altrui, ma con l’obiettivo di preparare la nostra replica. Cerchiamo una falla nel ragionamento dell’altro, attendiamo una pausa per inserire la nostra idea o filtriamo le sue parole attraverso le nostre convinzioni preesistenti. Questo non è un dialogo, ma un monologo a due voci, un esercizio che raramente porta a soluzioni condivise o a relazioni più forti.

Come è possibile superare questo ostacolo? 

Usando qualche formula magica? 

Affidandoci a millantarti coach e professionisti dell’ultima ora? 

No, la risposta è molto più semplice: scegliere un consulente che sappia indicare, spiegare e motivare i passi da compiere per imparare ad ascoltare in modo attivo. E no, non si tratta di semplice tecnica, bensì di intenzione precisa. 

A cosa faccio riferimento? All’abilità di mettere temporaneamente da parte il nostro mondo interiore (i nostri giudizi, le nostre soluzioni immediate, le nostre urgenze personali) per entrare pienamente in quello del nostro interlocutore. 


Riuscire a far sentire una persona “vista e “ascoltata” è uno degli strumenti di leadership più potenti di un manager, di un imprenditore, di un collaboratore. 


L’ascolto attivo valida l’esperienza dell’altro, ne abbassa le naturali difese e crea le condizioni psicologiche per una collaborazione autentica. Quando un collaboratore si sente sinceramente compreso, infatti, è molto più propenso a condividere informazioni, ad ammettere una difficoltà senza timore di essere giudicato e, in definitiva, a fidarsi del leader.

Per tradurre questa intenzione in un comportamento concreto e osservabile, uno degli strumenti più efficaci è la riformulazione parafrastica

Attenzione: non si tratta di ripetere a pappagallo le parole che abbiamo appena sentito, ma di restituire all’altro l’essenza del suo messaggio con parole nostre, dimostrando di averne colto non solo il contenuto logico, ma anche l’implicazione emotiva. 

Pensiamo, ad esempio, alla seguente conversazione che può verificarsi in azienda. 

Membro del team: “Sono sommerso di lavoro, non riesco a rispettare la scadenza del progetto X perché il dipartimento Y non mi ha ancora fornito i dati”. 

Il manager, fornendo una risposta basata su un ascolto superficiale, potrebbe rispondere: “Ok, sollecito io il dipartimento Y”. 

Questa risposta, per quanto apparentemente risolutiva, è orientata al problema, non alla persona. 

Un manager che pratica l’ascolto attivo, invece, potrebbe usare la riformulazione in questo modo: “Se ho capito bene, la tua preoccupazione non è solo il ritardo in sé, ma la frustrazione di sentirti bloccato da fattori esterni e il peso di non riuscire a rispettare la timeline. È così?”. 

Questa seconda risposta è trasformativa. Verifica la comprensione, assicurando che il manager il collaboratore siano sulla stessa frequenza ed evitando malintesi futuri. Al tempo stesso, valida l’emozione, riconoscendo non solo l’ostacolo pratico, ma anche il vissuto emotivo di frustrazione e responsabilità. 

Sai cosa trasmette questa seconda frase? Interesse da parte del manager non solo per il compito del collaboratore, ma per la sua esperienza complessiva come professionista. 


Saper ascoltare attivamente è il primo, indispensabile, passo per costruire una comunicazione che genera fiducia e chiarezza, anziché ambiguità e conflitto. È il fondamento su cui poggiano tutte le altre competenze comunicative avanzate.


Pilastro 2: il dialogo efficace 

Imparare a dare feedback edificanti e non distruttivi 

Poche parole nel contesto professionale sono cariche di tanta ansia e aspettativa quanto “feedback”. Per chi lo dà, c’è il timore di demotivare, di ferire o di innescare una reazione difensiva. Per chi lo riceve, l’istinto primario è spesso quello di prepararsi a una critica, attivando meccanismi di giustificazione ancor prima di aver ascoltato. 


Lo stato di tensione diffusa trasforma un’opportunità di crescita in un potenziale punto di rottura relazionale. 


Il cambio di paradigma necessario è smettere di considerare il feedback come un giudizio sulla persona e iniziare a vederlo come un’osservazione su un comportamento specifico, offerta con l’intento genuino di favorire lo sviluppo.

Il primo passo per un dialogo costruttivo è distinguere nettamente tra un giudizio e un’osservazione

Un giudizio è un’etichetta, una valutazione soggettiva e generalizzante che attacca l’identità della persona. Frasi come: “Sei stato superficiale” oppure “Non sei abbastanza proattivo” sono giudizi che non offrono informazioni utili e costringono l’interlocutore a difendere chi è, invece di riflettere su cosa ha fatto. 

Un’osservazione, al contrario, è una descrizione fattuale, specifica e priva di interpretazioni. 

Dire: “Ho notato che nel report mancavano i dati relativi all'ultimo trimestre” è un’osservazione. 

È innegabile, non attacca la persona e sposta immediatamente la conversazione su un piano concreto e risolvibile.

Una volta posta questa base di oggettività, è possibile strutturare il feedback in modo che sia non solo accettato, ma anche apprezzato. Un modello estremamente efficace, ispirato ai principi della Comunicazione non violenta, si articola in quattro momenti sequenziali che guidano la conversazione in modo chiaro e rispettoso. Invece di un’unica frase di critica, il dialogo si apre con l’obiettivo di analizzare l’impatto di un’azione e collaborare per cercare una soluzione.

Per maggiore chiarezza, partendo da una situazione reale, scopriamo come, a parità di contenuti, disinnescare eventuali conflitti. 

Situazione: feedback tra colleghi in merito alla gestione delle riunioni. 

“Le tue riunioni sono una perdita di tempi, non si decide mai nulla”. Questo è un tipico esempio di una frase priva di approccio strutturato, volto alla costruzione e alla crescita. 

Come fare? 

Partiamo dall’osservazione specifica e inopinabile. “Ho notato che nelle ultime tre riunioni che hai coordinato, abbiamo superato l’orario previsto di circa trenta minuti". 

A questo punto, si può esprime il proprio sentimento o l’impatto che quel comportamento ha avuto: “... e quando questo accade, io mi sento frustrato perché devo riprogrammare le attività successive e perdo la concentrazione”. 

Il passo successivo è esprimere il bisogno sottostante, ciò che è veramente importante: “Per me è fondamentale che il tempo pianificato venga rispettato per poter garantire efficienza a tutto il team”. Infine, si conclude con una richiesta chiara, collaborativa e orientata al futuro: “Saresti disposto, per la prossima riunione, a preparare un’agenda con tempi definiti per ogni punto e a condividerla prima?”.

Questo approccio trasforma completamente la dinamica. È un invito al dialogo e alla co-creazione di una soluzione, non un atto di accusa. 


Utilizzare con consapevolezza questa struttura permette di trasformare il feedback da un rischio relazionale a uno dei più potenti strumenti per la crescita individuale e collettiva.


Pilastro 3: dallo scontro all’incontro

Come gestire i disaccordi senza creare fratture

I disaccordi sul posto di lavoro non sono solo inevitabili, ma possono anche essere un segnale di un ambiente sano, dove le persone si sentono abbastanza sicure da esprimere prospettive divergenti. 


Il vero problema non è l’esistenza del conflitto, ma il modo in cui viene gestito. 


Istintivamente, di fronte a un’opinione contraria, la prima reazione è di tipo difensivo: ci trinceriamo dietro le nostre ragioni, cerchiamo di dimostrare la fallacia della posizione altrui e trasformiamo la conversazione in una battaglia da vincere. 

Questo approccio “Io contro di te” può forse portare a una vittoria a breve termine, ma quasi sempre a costo di una frattura relazionale a lungo termine, minando la fiducia e la collaborazione futura.

La competenza comunicativa più strategica in questi scenari è la capacità di operare un fondamentale cambio di prospettiva: passare da “Io contro di te” a “Noi contro il problema”. Questo significa smettere di vedere l’altra persona come un avversario da sconfiggere e iniziare a considerarla un alleato con cui risolvere una sfida comune. Il disaccordo non è più un ostacolo, ma un dato da analizzare insieme. Questo riposizionamento mentale cambia radicalmente il tono e la direzione della conversazione. L’obiettivo non è più stabilire chi ha ragione, ma comprendere appieno entrambi i punti di vista per identificare una terza via, una soluzione che possa integrare i bisogni di entrambi.

Per facilitare questo passaggio da una dinamica oppositiva a una collaborativa, lo strumento linguistico più efficace è l’uso delle “Frasi-Io” (I-statements). Questa tecnica permette di esprimere il proprio punto di vista, i propri sentimenti e i propri bisogni in un modo che non viene percepito come un’accusa o un attacco, ma come una condivisione di un’esperienza soggettiva. Una “Frase-Tu” (You-statement) punta il dito contro l’altro, attribuendogli la responsabilità del nostro stato d’animo e innescando immediatamente una reazione difensiva. 

Facciamo un esempio, pretendo dalla seguente frase (accusa diretta. You- statement): “Tu non mi hai incluso nella decisione, mi hai scavalcato”. 

Trasformiamo la frase-accusa in una “Frase-Io”: “Quando ho saputo che la decisione era stata presa senza il mio coinvolgimento, mi sono sentito escluso e poco valorizzato”. 

In questo caso, l’attenzione si sposta dall’azione dell’altro alla propria reazione emotiva. 

Questa formulazione non è discutibile, poiché nessuno può negare come ci siamo sentiti, e invita l’altra persona a comprendere il nostro vissuto, anziché a difendersi da un’accusa. 

Questa attenzione alle parole e all’altro permette di aprire un dialogo costruttivo su come evitare che la situazione si ripeta, focalizzandosi sui processi e sui bisogni reciproci.


Imparare a gestire i conflitti non significa imparare a evitarli, ma acquisire strumenti per trasformarli da momenti di potenziale rottura a opportunità preziose per chiarire le aspettative, rafforzare le relazioni e prendere decisioni più solide, nate dall'integrazione di prospettive diverse. 


La comunicazione efficace non è un talento innato, ma una disciplina che si può apprendere e imparare. Ogni interazione, dalla più banale e-mail alla più complessa negoziazione, diventa un’opportunità per applicare questi principi e per scegliere consapevolmente di costruire ponti relazionali solidi, anziché muri di incomprensione.

Un team dove le persone si sentono ascoltate, dove il feedback è percepito come un acceleratore di crescita e dove i conflitti vengono trasformati in soluzioni creative, è destinato a eccellere. 


La qualità della comunicazione determina la qualità dei risultati.


Le informazioni contenute in questo articolo sono un primo, fondamentale passo. 

Tuttavia, la vera trasformazione avviene quando questi principi vengono calati nella realtà specifica dell’azienda e del team, affrontando le dinamiche uniche e le sfide quotidiane che solo un approccio personalizzato può risolvere.

Commenti


Coach professionista regolarmente iscritta nell’elenco dei Coach A.Co.I –Associazione Coaching Italia- posizione n° 1148. I servizi professionali proposti sono regolamentati dalla L. 4/2013

© 2021 by Debora Santorsi

Privacy Policy - Cookie Policy

bottom of page