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Come prevenire il burnout?

Aggiornamento: 4 giorni fa

Il benessere in azienda è solo un dettaglio? L’investimento strategico nella felicità riduce il turnover, migliora le performance e aumenta la produttività del team. 


C’è una stanchezza che va oltre il semplice bisogno di ferie. È un’erosione lenta, un cinismo che si insinua nelle conversazioni e una demotivazione che spegne anche le persone più brillanti. 

Per anni è stato chiamato “stress” ed è stato trattato come un problema individuale, da risolvere con un po’ di riposo. 

Ma oggi questo fenomeno ha un nome preciso, burnout, e non è più considerato un fallimento del singolo, ma una spia rossa accesa sul cruscotto dell’intera organizzazione aziendale.

Ed è proprio qui che la conversazione sul benessere aziendale deve cambiare radicalmente. 

Non stiamo parlando di benefit accessori o di iniziative soft per migliorare l’umore, ma di una leva strategica fondamentale, di un investimento con un Ritorno sull’Investimento (ROI) tanto concreto quanto quello fatto in tecnologia o marketing. 

Stiamo parlando di performance e di capacità di innovare.

Ho scritto questo articolo perché desidero discostarmi dalla teoria astratta per entrare nel territorio della realtà quotidiana delle aziende che ho conosciuto. La mia esperienza professionale, oltre ai risultati ottenuti, mi ha insegnato che un approccio proattivo alla felicità e alla prevenzione del burnout non è un costo, ma il più potente motore per la resilienza, la produttività e la crescita sostenibile dell’intero team. 


È il momento di smettere di gestire le conseguenze dello stress e iniziare a eliminarne le cause.


Perché il burnout è pericoloso per le aziende?

Il prezzo nascosto dello stress cronico 

Per comprendere appieno il valore di un investimento nel benessere, dobbiamo prima analizzare con lucidità i costi della sua assenza. 

Il burnout, infatti, non è un evento isolato, ma un processo che genera un’emorragia lenta e costante di risorse preziose, spesso in modi che non compaiono direttamente nei bilanci trimestrali. 

Il costo più evidente, e forse il più facile da misurare, è l’aumento del turnover

Quando una persona di talento arriva al punto di rottura e lascia l’azienda, l’organizzazione non perde solo una risorsa, ma anche la sua conoscenza istituzionale, le relazioni che ha costruito con i clienti, l’esperienza accumulata e la continuità dei progetti. 

A questo si aggiungono i costi diretti di reclutamento, selezione e formazione di un sostituto, un processo che può durare mesi e che raramente garantisce un rimpiazzo di pari valore immediato.

Tuttavia, il costo più insidioso e diffuso è quello del presentismo, la condizione di essere “presenti ma non presenti”. La persona è alla sua scrivania, partecipa alle riunioni, risponde alle e-mail, ma la sua produttività, la sua concentrazione, la qualità del suo lavoro sono significativamente compromesse. 

Un team che opera in uno stato di esaurimento cronico non è semplicemente meno produttivo, è più incline all’errore, meno attento ai dettagli e con tempi di reazione rallentati. Neurologicamente, lo stress cronico mette il cervello in uno stato di “sopravvivenza”, dirottando le energie cognitive dalle funzioni superiori, come il pensiero strategico, la creatività e la risoluzione di problemi complessi, verso la semplice gestione della minaccia percepita. 


L’innovazione si spegne e il lavoro diventa un’esecuzione meccanica di compiti, priva di quella scintilla che genera vero valore.



Altresì fondamentale è riconoscere il devastante effetto domino del burnout sulla cultura aziendale. 

Un singolo membro del team in esaurimento può, involontariamente, diventare un epicentro di negatività. Il suo sovraccarico viene spesso redistribuito sui colleghi, aumentando la pressione su tutti. La sua demotivazione può contagiare il morale del gruppo e la sua ridotta capacità collaborativa può creare attriti e inefficienze. 


Se non viene affrontato alla radice, il burnout individuale si trasforma rapidamente in un problema collettivo, erodendo la fiducia, minando la coesione e creando un ambiente di lavoro tossico dove prosperano il cinismo e la sfiducia. 


Ignorare il problema significa, di fatto, permettere che questa cultura della stanchezza diventi la nuova, costosa normalità.


Perché la felicità è importante per aumentare la produttività aziendale? 

Affrontare il burnout e costruire una cultura di resilienza richiede un cambio di paradigma radicale. Non si tratta di implementare soluzioni tampone come la frutta fresca in ufficio o l’abbonamento in palestra, per quanto apprezzabili. Si tratta di intervenire sull’organizzazione del lavoro, riprogettando l’esperienza quotidiana attorno a principi che nutrono l’energia umana invece di esaurirla.


Il benessere smette di essere un'iniziativa del reparto HR e diventa una competenza di leadership diffusa, un criterio decisionale integrato nella strategia aziendale.


Come progettare l’energia? 

Il primo principio fondamentale è imparare a progettare l’energia, non solo a gestire il tempo. 

Le organizzazioni più innovative hanno capito che la vera produttività non è una maratona senza sosta, ma una serie di sprint intelligenti intervallati da momenti di recupero strategico. 


L’energia umana, a differenza del tempo, è una risorsa rinnovabile, ma solo se gestita con intenzione. 


Questo si traduce in pratiche concrete e misurabili, come promuovere una cultura che valorizzi le micro-pause per ricaricare le risorse cognitive, stabilire protocolli chiari sul “diritto alla disconnessione” per proteggere i confini tra vita lavorativa e privata, e, soprattutto, formare i manager affinché siano in grado di riconoscere i segnali di sovraccarico nel proprio team e di bilanciare i carichi di lavoro in modo sostenibile.


Come migliorare la sicurezza psicologica?

Il secondo, e forse più potente, principio attivo è la coltivazione deliberata della sicurezza psicologica. Un ambiente di lavoro non è solo uno spazio fisico, ma un ecosistema di relazioni. 

La sicurezza psicologica, definita come “la convinzione condivisa che il team sia un luogo sicuro per assumersi rischi interpersonali”, è l’ossigeno che permette alle persone di prosperare. In un clima di alta sicurezza psicologica, i collaboratori non temono di essere umiliati o puniti per aver ammesso un errore, fatto una domanda scomoda o proposto un’idea audace. Questo non solo è l’antidoto più efficace allo stress cronico, perché riduce la paura e l’ansia da prestazione, ma è anche il catalizzatore principale dell’innovazione e dell’agilità. 


È in questo tipo di ambiente, in questo stato di benessere diffuso che le persone osano, collaborano apertamente e si sentono genuinamente parte di un progetto comune.


Quali sono i benefici e i risultati misurabili di un team felice? 

Quando un’azienda sceglie di investire strategicamente nell’energia delle sue persone e nella sicurezza psicologica del suo ambiente, il ritorno non è un concetto astratto o puramente etico, ma si manifesta in indicatori di performance chiari e misurabili. Il primo effetto tangibile è una drastica riduzione del turnover e dell’assenteismo. I dipendenti che si sentono supportati, valorizzati e messi nelle condizioni di lavorare in modo sostenibile non solo sono meno inclini a cercare nuove opportunità altrove, ma sviluppano un senso di lealtà e appartenenza che va oltre la semplice transazione economica. 

Questo si traduce in un risparmio diretto sui costi di reclutamento, onboarding e formazione, e garantisce una maggiore stabilità e continuità operativa.

Sul fronte della performance, il beneficio più significativo è un visibile aumento della produttività e dell’engagement


Un team resiliente e felice sperimenta la pressione, certo, ma la gestisce in modo efficace, senza conseguenze e impatti più o meno gravi. 


Mantenendo livelli di energia più stabili e operando in un clima di fiducia, le persone sono in grado di dedicare le proprie migliori risorse cognitive ai compiti da svolgere. L’engagement smette di essere una metrica astratta misurata in un sondaggio annuale e diventa l'energia proattiva con cui le persone affrontano le sfide, collaborano con i colleghi e si assumono la responsabilità dei risultati. La qualità del lavoro aumenta, gli errori diminuiscono e la capacità di rispettare le scadenze in modo consistente migliora.

Infine, l’impatto più profondo e strategico si osserva nel miglioramento del clima aziendale e nella capacità di innovare. Un ambiente di lavoro caratterizzato da alta sicurezza psicologica diventa il terreno più fertile per la creatività. Quando le persone non hanno paura di sbagliare, sono più disposte a sperimentare, a condividere idee non convenzionali e a sfidare lo status quo. 


La collaborazione diventa più fluida ed efficace, perché la comunicazione è aperta e onesta. 


Questa agilità culturale permette all’organizzazione di adattarsi più rapidamente ai cambiamenti del mercato e di trasformare le sfide in opportunità, generando quel vantaggio competitivo che nessuna tecnologia da sola può garantire.


La teoria è una mappa, ma il vero viaggio, come abbiamo visto, si compie sul territorio di ogni realtà aziendale. I principi di gestione dell’energia e di sicurezza psicologica non sono formule astratte, lette su un manuale e quindi valide per qualunque situazione aziendale, ma sono le fondamenta pratiche su cui si costruisce una cultura organizzativa che mette le persone nelle condizioni di dare il meglio di sé. Il benessere, così facendo, smette di essere un’iniziativa isolata e diventa il cuore pulsante della strategia di business, il motore invisibile che alimenta la resilienza, la performance e l’innovazione.


La vera domanda, a questo punto, non è più se l’azienda possa permettersi di investire nella felicità delle sue persone, ma se possa realisticamente permettersi di non farlo. 


Clicca qui per prenotare una consulenza strategica. Insieme analizzeremo dove si trovano le maggiori opportunità di miglioramento in azienda, definiremo un percorso concreto per misurare e massimizzare il Ritorno sull’Investimento del benessere. 


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Coach professionista regolarmente iscritta nell’elenco dei Coach A.Co.I –Associazione Coaching Italia- posizione n° 1148. I servizi professionali proposti sono regolamentati dalla L. 4/2013

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